Le scuole e le università non possono essere trasformate in aziende, né gli studenti possono essere considerati clienti che si iscrivono per comprare diplomi da spendere nel mondo del lavoro.
La scuola viene piegata a servire gli interessi del mercato e del profitto.
L’efficienza dell’istruzione non si misura più sulle “conoscenze” da condividerecon gli studenti, ma sulle “competenze” che gli allievi dovranno acquisire in vista della loro futura immissione nel mercato del lavoro. L’obiettivo ormai non è quello di formare cittadini colti in grado di capire, criticamente, sé stessi e il mondo che li circonda, ma di addestrare professionisti capaci di adattarsi alle richieste della produzione globale. I risultati di queste tendenze, frutto di una “pedagogia mercantile”, già cominciano a venire allo scoperto.
Sembra evidente che lo scopo principale dell’educazione – in sintonia con la religione del profitto che domina ormai in tutto il mondo – debba essere quello di formare futuri consumatori interessati solo a un’istruzione funzionale alle esigenze della produzione mondiale per garantire un accesso a una professione in grado di assicurare lauti guadagni. Lentamente scuole e università sforneranno eserciti di potenziali “imprenditori” e “compratori”. I princìpi ideologici propugnati dal banchiere Bounderby e dal pedagogo Gradgrind sembrano ormai incarnati in un lessico preso a prestito sclusivamente dal mondo dell’economia. Le prime due parole con cui i nostri studenti debbono fare i conti appena si iscrivono all’università sono “crediti” e “debiti”. E mentre in Europa tutti i governi, per decenni, hanno tagliato fondi all’istruzione, da anni si finanziano massici investimenti per la didattica digitale.
Stiamo dimenticando che solo un bravo docente, e non una piattaforma digitale, potrà cambiare la vita di uno studente.
Le scuole e le università non possono essere aziende che vendono diplomi. Gli studenti non possono essere clienti che acquistano “passaporti” per il mondo del lavoro. Non si studia soltanto per imparare un mestiere. Non è vero che sia “utile” solo ciò che produce profitto e guadagno.